Alle origini.
Marcellianum e la Diocesi di Paestum-Capaccio.
Un segno tangibile della tradizione storica e religiosa della diocesi di Teggiano-Policastro, si ritrova nel battistero di San Giovanni in Fonte a confine tra i territori di Sala Consilina e Padula, che definisce il principio del Cristianesimo nelle nostre contrade.
Per le origini della diocesi di Teggiano, le prime fonti certe sulla presenza di un vescovo sono da riferirsi alla sede di Marcellianum, un sobborgo del centro lucano-romano di Cosilinum, con Sabinus nel V secolo e Latinus nel secolo successivo, che detenevano giurisdizione episcopale sulla vallata di Diano (allora ancora identificata con il Campus Atinas) e su alcuni territori contermini, probabilmente collocati in Val d’Agri. Successivamente la diocesi del suburbio cosilinate perse gradualmente importanza per essere assorbita, probabilmente a partire dal 1086, dalla sede pestana, poi caputaquense. Dell’edificio originario battisteriale, attestatosi sui resti di un tempio pagano dedicato a Leucothea ci restano i quattro arconi in laterizio con mattoni di tipologia e derivazione romana, sui quali, mediante i pennacchi, in cui erano affrescati i quattro Evangelisti, si innalzava la cupola terminale.
Nella storia dell’antica diocesi di Marcellianum e poi di quella pestana, risaltano in relazione agli episodi storici rilevanti, le tragiche invasioni dei saraceni, motivo fortemente probabile dell’abbandono di Marcellianum, con la Civita di Cosilinum e dello spopolamento di molti centri del comprensorio. Parimenti risulta fondante la successiva riorganizzazione del territorio, con la cura pastorale dei presuli pestani e la penetrazione del monachesimo italo-greco, del quale è intrisa consistente parte della cultura religiosa e sociale della nostra area, nel periodo alto-medievale. Ruderi di monasteri italo-greci o toponimi che ne indicano l’esistenza in antico, si ritrovano in quasi ogni paese del territorio diocesano ed addirittura alcuni paesi pare siano stati fondati per intervento diretto dei monaci basiliani, come il borgo antico di Sant’Arsenio. Anche le tracce nell’arte medioevale e nei documenti risentono fortemente di questo fervido periodo religioso e sociale, che solo nel tardo Medioevo cedette il posto alla cultura latina monastica, insediatasi nel territorio già nell’XI secolo, con le prime donazioni dei signori alle emergenti potenze dell’Abbazia di Cava e di Venosa. Queste due grandi fondazioni monastiche si divisero il territorio del Vallo di Diano: ai primi toccarono i monasteri della parte settentrionale e della fascia occidentale, tra cui Diano, agli altri invece quelli meridionali e ad Oriente, compreso lo stesso San Giovanni in Fonte, ceduto successivamente ai Cavalieri Gerosolimitani sul cadere del secolo XIII.
Nella cura pastorale diocesana di Capaccio furono esentati molti possedimenti benedettini, alcuni rimasti integri fino allo smembramento nelle due diocesi di Teggiano e Vallo e le cosiddette nullius dioecesis, ossia dei territori nei quali l’abate era esentato dalla giurisdizione episcopale, come Sant’Angelo a Fasanella e Controne. Bisogna aggiungere che il territorio di Capaccio fu pullulato da una consistente presenza di monaci benedettini, tra i quali figurano anche personalità di spicco e diversi santi; è il caso di San Lucido di Aquara, monaco nella locale Badia di San Pietro e fondatore di alcuni cenobi nel territorio del basso Lazio, nonché gli stessi patroni diocesani, San Cono confessore e San Pietro Pappacarbone, vescovo.
La scelta di una sede stabile per il presule caputaquense fu sempre un dilemma; il vescovo, con continue peregrinazioni, soprattutto tra Cinquecento e Settecento, soggiornò anche nel Vallo di Diano in tempi e luoghi diversi. Teggiano, città di antica tradizione, che aveva dato i natali a San Cono e a San Laverio, martire a Grumentum, fin dal XII secolo fu sede prediletta di alcuni vescovi, infatti questi avevano l’obbligo di celebrare il primo pontificale subito dopo la loro elezione, nella plebana di Santa Maria Maggiore. La consacrazione della nuova chiesa plebana nell’anno 1274 ad opera di ben tre presuli, evidenzia come Santa Maria fosse già considerata chiesa primaziale, una sorta di cattedrale di fatto e non giuridica.
La primitiva chiesa episcopale di Santa Maria del Granato a Capaccio, centro abitato assediato e distrutto da Federico II nel 1246, perse così le prerogative di residenza diocesana, che fu spostata, soprattutto dal XVI secolo in avanti, a Diano, Sala, Laurino e Padula. Il suggello definitivo delle prerogative di Diano, avvenne nel 1564, quando il vescovo caputaquense Paolo Emilio Verallo, di ritorno dal Concilio di Trento, istituì nella cittadina valligiana uno dei primi seminari del territorio italiano: la data impressa sulla vera del pozzo del chiostro dell’istituto seminariale riporta l’anno 1596, mentre quella incisa sull’architrave del vetusto edificio è del 1601. Il vescovo Lelio Morello (o Morelli) elesse Diano, nel 1586, a sede prediletta, tenendovi anche un sinodo; con Bolla Admonet nos del 17 luglio 1586, il papa Sisto V concedeva al Morello di stabilire la residenza in città ed elevare Santa Maria Maggiore a dignità di cattedrale. Il marchese Merualdo Grimaldi, acquistò una dignitosa abitazione, coincidente con lo spazioso palazzo un tempo dimora dei senesi Malavolta, che fu donato al vescovo di Capaccio, in quel tempo dimorante in un “quartino” all’interno del convento Osservante della SS. Pietà, nel quale si ritrova anche un suo ritratto (ambulacro claustrale). Per le successive alterne vicende del titolo episcopale, vi fu un parziale allontanamento del vescovo Morello da Diano e così sfumarono i propositi di elevare la chiesa plebana a dignità di cattedrale.
Anche nel Vallo di Diano si crearono però problemi relativi all’impraticabilità del territorio ed alla sicurezza fisica e politica del vescovo, così la sede – da Diano, in cui si tennero i sinodi del 1583 e 1608 – venne spostata, negli anni a cavallo tra il Cinquecento e il secolo successivo, a Padula e Sala, dove si svolsero altre riunioni sinodali: Padula nel 1567 e Sala nel 1579, 1617, 1629 e 1649. Il presule Francesco Maria Brancaccio, creato poi cardinale nel 1633, fissò la sua residenza a Sala, affittando il palazzo Grammatico per sette anni. Altre riunioni del clero e dei vescovi caputaquensi si tennero a Novi Velia, a Laurino ed a Capaccio, nel secolo XVIII.